Presentiamo oggi ufficialmente il manifesto della nuova edizione del Cisterna Film Festival, dal quale emergono le principali novità di questa edizione: si torna alla semplicità di un ciclo di tre giorni di proiezione a Palazzo Caetani, da sempre nostra cornice ideale, dal 22 al 24 luglio. Ogni serata sarà aperta dai cortometraggi della sezione Focus On, questa volta dedicata alla Croazia grazie alla collaborazione del Croatian Audiovisual Centre.

 

Per l’ottava edizione del Cisterna Film Festival abbiamo voluto un manifesto che incarnasse gli elementi che hanno caratterizzato lo stile della nostra Kermesse. Volevamo che ci fosse un’alta qualità artistica accompagnata da una progettazione curata ed essenziale. Eravamo alla ricerca di un’immagine apparentemente semplice che racchiudesse un potenziale narrativo importante ma aperto, suscettibile di interpretazioni in chi guarda. Il forte legame che il fotografo e videomaker Emanuele Manco ha con il cinema ci ha portati a sceglierlo.

La qualità estetica dei suoi lavori, la ricerca formale scevra da ambientazioni opulente e barocche ma volte alla purezza e alla valorizzazione del soggetto ci ha portati a selezionare questa foto in cui Natura, oggetto e umanità sono in perfetto equilibrio e si combinano così da proiettare in chi guarda il proprio retaggio culturale.

– Oltre a dedicarti a progetti di fotografia d’arte segui anche molti festival cinematografici come la Festa del Cinema di Roma o la Mostra del Cinema di Venezia, e sei anche un videomaker, quindi hai un legame molto forte col cinema: cosa rappresenta per te la settima arte?

Il mio rapporto con il cinema è qualcosa che definirei imprescindibile, essendo un doppio filo al quale sono legato davvero nel profondo. Da una parte, perché rappresenta tutto quello che è stata la mia formazione “accademica” e dall’altro perchè il cinema in qualche modo è diventato anche l’orizzonte principale del mio lavoro.
Ho studiato cinema all’università e da instancabile cinefilo è stato un periodo della mia vita direi totalizzante, nel quale lo studio e la passione si sono fuse magicamente assieme. Terminato questo periodo ho iniziato a lavorare, prima come videomaker e poi come fotografo occupandomi principalmente della parte “publicity” riguardante la promozione dei film in uscita, e sui set come fotografo di scena, cosa che mi ha portato a collaborare da anni con vari festival e realtà internazionali. Ho avuto il privilegio di fotografare tanti dei miti che hanno segnato il mio percorso da studente di cinema, “eroi” visivi e culturali per i quali ho divorato film e pagine di libri per poi ritrovarmi con la mia macchina fotografica davanti a loro. Per concludere con la mia risposta, mi fermerei su una citazione di Truffaut che sostiene che il cinema “prolunga i giochi dell’infanzia”. Nel mio caso, l’impulso verso il cinema rappresenta il compimento di quell’azione che vai a reiterare quando non puoi fare a meno di pensare alle cose belle. Diciamo che è la mia religione personale.

– La foto scelta per il manifesto dell’ottava edizione fa parte del progetto “La Sainte”: come è nato questo lavoro, dove sono state scattate le foto e questa in particolare, e cosa significa e cosa volevi trasmettere con questi scatti?

Questo progetto nasce da una particolare riflessione riguardante le apparizioni mariane. L’idea e la suggestione riguardo questo fenomeno è qualcosa che mi porto dietro fin da piccolo, da quando a scuola ci facevano studiare religione. In realtà non ha nulla a che vedere con la fede quanto piuttosto con una sensazione di misticismo disorientante.
Vivendo in un paese principalmente cattolico era molto facile imbattersi in discorsi di questo tipo, a scuola, in casa, in tv. La sensazione che però mi suscitava, ovvero il pensiero e l’immagine che un essere divino potesse eventualmente manifestarsi all’improvviso davanti ai nostri occhi era qualcosa più vicino al perturbante e che mi lasciava una leggera inquietudine. Il fatto poi che queste presunte visioni avvenivano sempre in luoghi eterei, solitari, tra grotte, colline, radure (Lourdes, La Salette, Fatima, Tepeyac) rendeva ancora più suggestivo il potere di quelle immagini. Così, qualche anno fa ho deciso di realizzare un progetto fotografico partendo proprio da queste riflessioni: non volevo realizzare un progetto che esprimesse considerazione sulla fede o la religione, quanto piuttosto concentrarmi sul fenomeno in sé, mostrando il carattere straordinario ed imprevisto di un qualcosa che non esiste ma che se si verificasse sarebbe incredibile, ovvero la semplice apparizione.
Quindi sono partito per la Francia, girando tra la Provenza e la Camargue i cui luoghi erano esattamente quello che cercavo per questo lavoro.
La foto che avete scelto per il manifesto è stata scattata in un posto straordinario perche è nel delta del Rodano, tra stagni e lagune dove nei mesi estivi l’acqua si ritira e dà vita a questo paesaggio lunare.
Ho avuto modo di realizzare l’ossatura principale delle mie personali apparizioni mariane, delle “sante”, avvolte da veli che appaiono tra campi di lavanda, saline e deserti d’acqua. Alcune foto finali invece sono state scattate anche qui in zona, sul lungomare di Sabaudia.
Per ora il progetto è momentaneamente concluso ma la voglia di continuare ad alimentarlo è ancora forte.

– I tuoi progetti prediligono ambientazioni essenziali e minimaliste, sia per le foto scattate in studio che per quelle all’aperto. Come scegli la location e come nasce l’idea di un set?

In realtà la scelta è abbastanza semplice e naturale, proprio perché ragiono sempre in funzione dell’essenzialità. Non amo le cose particolarmente cariche di elementi perche possono dare distrazione e nel mio modo di vedere le cose risultare anche poco eleganti. Un telo monocromatico o uno spazio vuoto possono tendenzialmente essere fattori più che sufficienti per me. Mi piace nella fotografia un’idea di fissità e solitudine e l’ambientazione, in questo senso, deve essere partner corroborante dell’idea. Alla base c’è sempre una forma, una linea e una luce da cogliere e la scelta di un luogo può essere o l’input attorno al quale costruire la foto oppure il comprimario passivo che fa da sfondo.

– Si nota la centralità della forma e del gesto all’interno delle tue composizioni: quanto è importante questo aspetto per il tuo stile?

Riprendendo quello che dicevamo prima: i corpi, le forme e i colori vanno proprio a riempiere il grande vuoto che è lo spazio. La ricerca di questa solitudine intima, riflessiva, passa proprio tramite un insieme di forme che vanno alla ricerca della propria collocazione. Per questo motivo, i soggetti ritratti sono spesso figure impersonali, totem dai visi nascosti. L’individuo, “incorniciato” nello spazio in cui è immerso, abbandona la sua solitudine per fondersi in armonia con il mondo che lo circonda. Nascondersi dalla vista è il modo con il quale preserviamo la nostra intimità, ma per venir fuori dal confortevole perimetro che ci siamo costruiti abbiamo bisogno di tutta la forza ma anche di tutta la delicatezza possibile.

– Artisti che ti influenzano?

In realtà avrei o una lista infinita al riguardo. Ren Hang, straordinario fotografo cinese è uno dei miei artisti preferiti, assieme ad un’altra magnifica artista Zhong Lin. In tutti e due c’è un forte senso di seduzione che si esprime tramite colori e forme estreme, una bellezza quasi sovversiva.
Poi c’è Paolo Roversi, un maestro totale della fotografia, con uno stile etereo pazzesco e iconico, e Mustafa Sabbagh, che su di me ha avuto un fortissimo impatto per l’uso del nero e del suo viaggio fotografico verso l’identità. Identità che diventa oscura come le creature di Evelyn Bencicova artista visiva che amo moltissimo
Dal cinema invece ricevo un’altra massiccia dose di influenza. Douglas Sirk per i suoi colori eccezionali e la presa di coscienza critica nel melodramma hollywoodiano degli anni ’50, David Lynch e Yorgos Lanthimos per quel senso di mistero e straniamento, e Luca Guadagnino perché è semplicemente un mago nel raccontare epoche e luoghi. Ultimamente sono molto influenzato anche dal design di interni. Axel Vervoodt ad esempio, coi suoi spazi essenziali, minimalisti e primitivi, riesce a cogliere canoni di ordine che sono semplici e unici.

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Emanuele Manco, fotografo e videomaker di Cisterna di Latina, si laurea a Roma in “Forme e tecniche dello Spettacolo”, presso l’Università “Sapienza”, per poi perfezionarsi presso l’“Istituto Superiore di Fotografia” (ISFCI). Inizia a lavorare collaborando con Vogue Italia, occupandosi della realizzazione di video per il sito Vogue.it , passando in seguito, come filmmaker, al lavoro su programmi televisivi per Mediaset e Rai. Affianca al lavoro da videomaker anche quello di fotografo per realtà internazionali cinematografiche come Warner Bros Italia, Sony Pictures, Walt Disney Company, Prime Video, occupandosi dei contenuti foto e video per le anteprime e il lancio dei film in Italia. Da anni collabora con l’ufficio stampa della Festa del cinema di Roma di cui è fotografo dall’edizione 2016, e ha seguito le première di molti film alla Mostra del cinema di Venezia. Nel 2021 è stato fotografo ufficiale dei David di Donatello a Roma. Nel 2019 invece le sue due prime esposizioni internazionali di fotografia: “Ethereal: A Daily Poetry “ Galerie Joseph Murene (Parigi) e “Imagination Arles” Voies off Festival, Galerie des Arènes (Arles).