Il Cisterna Film Festival compie 10 anni e l’edizione 2024 accenderà i riflettori nella consueta location di Palazzo Caetani dal 19 al 21 luglio.

Per celebrare questo importante traguardo del decennale del Festival Internazionale del Cortometraggio, Mobilitazioni Artistiche ha organizzato una opening night speciale con uno spettacolo dal vivo dedicato al cinema e alla storia d’Italia.

In scena gli attori di Mobilitazioni Artistiche, alla regia, per la prima volta insieme, Marianna Cozzuto e Cristian Scardigno, con le musiche dal vivo eseguite dalla Banda Musicale Città di Cisterna diretta dal Maestro Stefano Zaralli.

Un viaggio tra le più belle scene del cinema italiano, un omaggio ad alcuni grandi Maestri della settima arte, una grande serata di festa.

Il manifesto di questa edizione porta la firma del fotografo Maurizio Di Pietro.

Conosciamolo meglio.

Maurizio, noto per i suoi progetti che documentano questioni ambientali e sociali, ha scattato questa straordinaria fotografia a febbraio 2019 nei pressi di Nairobi. Il ritratto di Lukuitan Alim cattura l’essenza delle migrazioni causate dalla desertificazione e dai conflitti etnici nella regione del Turkana, Kenya. Questo scatto, frutto di giorni trascorsi con il soggetto per cogliere la sua storia, rappresenta perfettamente la qualità e l’impegno che caratterizzano il lavoro di Maurizio.

Maurizio ha vinto il prestigioso #LucieAward per la sua serie fotografica dedicata al Turkana, un riconoscimento che ha significativamente influenzato la sua carriera. Attualmente, è impegnato in un progetto innovativo sulla sostenibilità alimentare, utilizzando insetti edibili come soluzione alla fame nel mondo.

Non perdete l’occasione di ammirare questa e altre opere al Cisterna Film Festival 2024, dal 19 al 21 luglio, nello storico Palazzo Caetani di Cisterna di Latina. Questo decimo anniversario promette di essere un evento indimenticabile, celebrando cortometraggi di altissima qualità.

Di seguito, trovate l’intervista integrale con Maurizio, dove racconta la sua visione e il suo percorso artistico.

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Maurizio i tuoi lavori sono quasi sempre progetti che coprono un lungo arco temporale, sono preceduti da un lavoro di documentazione e sembrano cercare nella fotografia la prova concreta del processo. È così? Come nascono i tuoi progetti?

Quasi tutti i miei lavori sono una sorta di inchiesta e necessitano di studiare l’argomento, capire cosa succede e cosa si vuole raccontare, poi finalmente inizia il divertimento e si inizia a scattare. La fase di studio e di ricerca è una fase molto lunga e sempre in atto, anche perché lavorando da free lance non si hanno grandi fondi e si è sempre alla ricerca di come raggiungere il risultato con la via più economica che però è anche sempre la più complicata. Inoltre, prediligo progetti a lungo termine perché mi piace entrare nelle storie senza disturbare e perché mi permettono di essere coinvolto assaporando fino in fondo la storia e preparandomi allo scatto. Questo richiede molto tempo per fare arrivare delle buone immagini, ma poi arrivano.

– Guardando la proposta dei portfolio nel tuo sito, è lampante la tua volontà narrativa. Hai mai pensato di girare un film? Che rapporto hai con il cinema?

Ho capito, nel tempo, che non mi interessava fare semplicemente belle immagini, anche perché forse non ero neanche così bravo a farle. Non ho nulla contro un bel paesaggio o sui fotografi di paesaggi, ma ho capito che non mi bastava. Lo storytelling fotografico mi permette di raccontare storie più complesse andando ad aggiungere informazioni o emozioni lavorando sulla selezione e l’editing. Quindi sì, forse può esistere un parallelismo con la sceneggiatura e la regia di un film. Amo il cinema ma non sono un cinefilo, mi lascio contagiare da quello che vedo in maniera naturale. Una volta ho pensato di fare un cortometraggio ma mi sono accorto che non avevamo abbastanza risorse e ho preferito rimanere concentrato sulla fotografia.

– Cosa ti ha spinto ad andare in Turkana? Perché proprio lì? Sei andato, se non erro, ben due volte a svolgere un lavoro di documentazione fotografica.

Sono stato in Turkana per tre anni, il covid ha interrotto il mio percorso ma continuo a valutare l’ipotesi di tornarci, ci sono ancora tante cose da dire di quel luogo e emozioni da immortalare. Inoltre, ammetto che quando sono in Africa mi sento proprio bene.

Sono molto attendo ai temi ambientali che sono quasi sempre i soggetti dei miei lavori: li scelgo da un articolo di giornale, un servizio televisivo, una conversazione che mi incuriosisce e che decido di approfondire perché penso ne valga la pena. Il Turkana, in particolare, l’ho scoperto grazie a un altro fotografo che stava lavorando in Etiopia proprio al confine con il Turkana. Questa è la regione più a nord del Kenya, è un luogo desertico e 800.000 mila persone vivono principalmente di pastorizia. È un hotspot climatico, negli ultimi trent’anni la temperatura si è alzata di circa il doppio rispetto alla media mondiale, la siccità sta affamando un popolo e creando conflitti per l’accesso alle risorse. Il Lago Turkana, il più grande lago alcalino desertico al mondo, si sta prosciugando. Ho pensato che valesse decisamente la pena raccontare questa storia.

– Quando ci mostravi i tuoi scatti hai detto che nelle tue foto “c’è tutto”, che tendi a riprendere tutto il contesto senza sezionarlo e senza isolare il soggetto per motivi estetici. Cosa è quindi per te la fotografia?

Sì, è una cosa che anche io ho imparato di me nel tempo. Il mio processo di avvicinamento alla fotografia è stato lungo e lento. Ogni volta che ho affrontato un lavoro e l’ho portato a termine, ho capito qualcosa anche di me, di che tipo di fotografo fossi. Penso che sia così per molti fotografi, o comunque per me è stato così. La fotografia è un linguaggio che lascia spazio a tantissimi modi di esprimersi, ma nasce come strumento per documentare. Per questo, soprattutto una volta, si credeva fermamente al concetto che “quello che vedi in un’immagine è vero”. Sappiamo invece che non è così, chi scatta decide cosa vuole mostrare, in più oggi l’intelligenza artificiale, ecc…, ecco io sono decisamente legato a quel concetto di fotografia, quella documentaristica fino ad arrivare al fotogiornalismo, e questo ti obbliga ad avere il massimo rispetto della realtà fotografata per non alterarne la verità, aggiungendo quindi un ulteriore vincolo ad un’arte già povera di elementi espressivi. Sono sempre molto attento all’etica: quello che si dice e come lo si dice. Quando scatto cerco di essere il più possibile invisibile, non sposto neanche un ramoscello che impalla la camera, passo con i soggetti tanto tempo per arrivare all’intimità e all’invisibilità per fare dei buoni scatti. Inserire tanti elementi all’interno dell’immagine fa parte del racconto e del tentativo di verità. Pensa quante cose potrei non dirti se scattassi con un teleobiettivo. Il discorso l’ho un po’ estremizzato per cercare di rendere meglio il concetto, ma è chiaro che poi sul campo ci sono tante altre variabili che entrano in gioco e delle volte un teleobiettivo può dare emozioni che non può dare il grandangolo.

– Parlaci della foto del manifesto del Cisterna Film Festival 2024.

La foto è stata scattata a febbraio 2019 nei pressi di Nairobi. Lui si chiama Lukuitan Alim. Il mio obiettivo era dimostrare che la desertificazione, unita alla guerra tra i gruppi etnici già presente da molti anni in Turkana, sta causando la migrazione dalle zone rurali verso le zone urbane.

Grazie al mio fixer ho conosciuto Alim, con cui sono stato per due interi giorni prima di fare questo scatto realizzato mentre mi raccontava la sua storia: ha partecipato al conflitto dal 1981 al 1988 nella regione della Turwel, la più florida e quindi la più ambita. In quegli anni ha ucciso molte persone e perso 20 familiari. Ha così deciso di spostarsi a Nairobi e iniziare una nuova vita senza guerra. Ora è sposato e ha tre figli.

– Tu hai vinto il prestigioso Lucie Award. Con quale fotografia?

Il Lucie è stata un’emozione grandissima quanto inaspettata, e gli devo sicuramente il merito di avermi dato energia per buttarmi in questa professione. L’ho vinto non con una foto singola ma con la prima versione della serie dedicata al Turkana, ed è stato proprio il Lucie a finanziarmi per continuare il lavoro.

– Chi sono i tuoi fotografi di riferimento (se ci sono)?

Non sono in grado di dirti quali siano i miei fotografi di riferimento, probabilmente devo ancora capirlo, ma posso dirti i fotografi che adoro, per l’intera produzione o per qualche particolare progetto.

Larry Towel, Josef Koudelka, Darcy Padilla, Jessica Dimmok, James Nachtwey, Paolo Pellegrin, Nancy Borowick.

– Prossimi progetti fotografici?

Attualmente sto lavorando a qualcosa di un po’ diverso. O meglio, il tema è la sostenibilità alimentare e la fame nel mondo, quindi ancora collegata all’ambiente, ma lo sto facendo parlando di insetti edibili usando un linguaggio e uno stile molto diversi. Ad oggi è stato molto apprezzato a livello nazionale e internazionale, questo mi spinge a dedicarci ancora del tempo. Sono, inoltre, nella fase di studio su una storia di denuncia ambientale in Costa D’Avorio, ma per ora preferisco non dire altro.